Aveva piovuto il giorno prima e ha piovuto il giorno dopo, ma per il No B-day Mister Padreterno, che è assai più potente di Mister B., ha deciso di inviare su Roma una bella giornata di sole. Cielo azzurro intenso a far da sfondo alle migliaia di bandiere viola, bianche, rosse e verdi, agli striscioni e alle sciarpe arcobaleno. Gli organizzatori hanno detto che eravamo un milione, un po’ esagerati, certo ubriachi di felicità, la Questura ha giocato al ribasso contando 90 mila partecipanti. Io dico che eravamo alcune centinaia di migliaia e mi fermo lì, perché in questi casi, aggiungo, conta quasi più il voler esserci che l’esserci, e in questo senso il milione è stato ampiamente superato.
Ma questa ridicola guerra di cifre non conta niente. Quello che conta è la partecipazione spontanea di tantissime persone, giovani in primo luogo, ma anche anziani, famiglie, gente che non “fa politica”, venuti sull’onda di un entusiasmo e di una voglia di protagonismo che fa bene al cuore.
Alla base c’è stato l’appello su facebook, un passaparola telematico che ha contagiato e ha entusiasmato. Perché il No B-day ha dimostrato, anche nella sua virtualità internettistica, che la folla, il popolo, non è una massa anonima, ma una “sterminata distesa di minoranze”, a volte formate da una o due persone. E’ questa la lezione principale che dobbiamo trarre da questa entusiasmante giornata. Sotto la superficie truccata di una società bipolare, divisa tra una mitica “destra” e una altrettanto mitica “sinistra”, vi è una miriade infinita di soggettività intelligenti, di presenze diverse, ciascuna con una sua dignità, un suo pensiero, una sua autonoma identità. E, come diceva un vecchio slogan di Frigidaire, “non tutti i diversi sono uguali”.
Una considerazione importante anche per la Federazione della Sinistra che è stata annunciata al Teatro Brancaccio la mattina dello stesso No B-day.
Perché rispetto a quella che era la vecchia distinzione tra proletari, piccolo borghesi e grandi borghesi, oggi la società si presenta davvero diversa. Una moderna “analisi delle classi” dovrebbe tener conto che tra quella che una volta era la cosiddetta “piccola borghesia” e quello che un tempo veniva considerato “proletariato” non c’è poi molta differenza di sostanza. Non perché il proletariato si sia imborghesito o non esista più, ma – al contrario - perché l’intera società, come diceva Marx, si è proletarizzata, mentre i capitalisti sono solo una piccola minoranza di privilegiati, satrapi e mafiosi, tutti funzionari di un capitale che ha perso ogni coloritura progressiva e ogni necessità storica.
Insomma il proletario moderno non ha più da tempo il volto dell’operaio di fabbrica, caro all’iconografia del secolo scorso. Oggi siamo tutti proletari, ma restando ciascuno una cosa diversa: chi precario, chi badante, chi operaio, chi artista, chi contadino, chi clandestino, chi impiegato, chi blogger, chi bottegaio, chi pensionato, chi invalido. A unirci non è più una condizione di lavoro simile, poiché non esistono quasi più le masse omogenee di un secolo fa, esistono invece le masse dei diversi, questi aggregati di differenze, questa infinita moltiplicazione di soggettività.
E queste nuove masse si muovono sì intorno ai problemi pratici e materiali, poiché le crisi e le ingiustizie sociali bruciano tutti, ma anche si definiscono rispetto a scelte di valore, a speranze, a sogni universali. Dunque come l’accumulazione e il risparmio non sono più le vecchie virtù dei padroni ottocenteschi, anche il lavoro non è più il valore principale della vita dei nuovi proletari. Quello che unisce i proletari di oggi, in tutte le loro imprevedibili varianti individuali, è, per usare la formula di Thomas Jefferson, la ricerca della felicità. Ed è su questo piano universale, oltre che sul terreno pratico delle mille lotte specifiche, che la Sinistra deve saper rispondere, per tornare ad essere popolo e rovesciare non tanto i capitalisti, ma il capitale nella sua essenza di produttore infinito di infelicità.
Vignetta di Maila Navarra.
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