Dieci giorni fa, prima che scoppiassero gli scandali di Pescara e della Lucania e si allargasse a macchia d’olio quello di Napoli con miliardarie proiezioni romane (si veda il ruolo dell’imprenditore Alfredo Romeo, vincitore di appalti stratosferici in entrambe le città), avevo scritto che la questione morale investiva ormai in pieno la ex sinistra, nel frattempo divenuta nuova destra rampante e rapace. I fatti hanno clamorosamente confermato quella analisi e, per non ripetermi, rinvio a quell’editoriale (che trovate nella sezione “editoriali”).
Ormai è chiaro che, sull’onda del berlusconismo politico e culturale, l’Italia si è trasformata in un originale sistema neofascista, con una casta politica che pensa solo ad arricchirsi e si autoperpetua in elezioni rituali sempre meno partecipate e significative (in Abruzzo l’astensione ha raggiunto il 50 per cento…). Questa casta, gonfia di redditi milionari, non è che la faccia “istituzionale” della classe dominante. Le statistiche raccontano che meno del 10 per cento della popolazione si gode oltre il 60 per cento del reddito e della ricchezza complessiva. Mentre il 90 per cento si divide il resto in modo altrettanto diseguale. In alto una esigua “classe media”, in basso poveri, semipoveri e poverissimi. Tra questi ultimi anche i quattro milioni di extracomunitari senza diritti, nuovi schiavi esposti ad ogni ricatto ed angheria, divisi per etnie e condannati a vivere in quartieri o accampamenti infernali.
Ma qui, analisi sociale a parte, vorrei sottolineare alcune profonde differenze tra la tangentopoli degli anni ’90 e quella attuale.
Allora contro la cupola politico-affaristica si schierò una generazione di giovani magistrati, che si erano formati al tempo delle grandi lotte ideali degli anni ’60 e ’70. Quei magistrati volevano moralizzare la vita pubblica, eliminando il malaffare. Un progetto ambizioso, ma illusorio, che finì per produrre la fine della prima repubblica, “la discesa in campo” di Berlusconi e la conseguente ascesa di un nuovo ceto politico, diretta emanazione del mondo affaristico e mafioso. L’illusione infatti consisteva nel voler perseguire, in una società che fa dell’accumulazione di denaro (con ogni mezzo) la sua unica religione, proprio gli accumulatori di denaro.
Eppure “mani pulite” fu – a suo modo - un’illusione nobile. Se a sinistra non ci fosse stata la cloaca opportunistica che sappiamo, forse quella microrivoluzione giudiziaria avrebbe potuto avere anche altri esiti.. Ma oggi?
Oggi è tutto diverso: perché anche la magistratura è stata in gran parte corrotta culturalmente dal berlusconismo e dal rampantismo pseudoriformista. Così al posto di magistrati magari un po’ ingenui, ma di sicuro idealismo, c’è una corporazione spesso ambiguamente arroccata sui propri privilegi, non troppo diversa dalla casta politica che talvolta contraddittoriamente persegue.
Si potrebbe dire che è la stagione delle “mani sporche”.
Anche l’opinione pubblica, che allora reagì con sdegno a tangentopoli, è diventata “sporca”. Narcotizzata da “veline” e “riformismi immaginari”, non si indigna, subisce passivamente, si disinteressa…
Così i nuovi imputati non temono più il lancio delle monetine che accompagnò la caduta del “grande Bettino”. Essi sanno che lassù, nei cieli televisivi del potere, qualcuno li ama e difende… almeno, come usa dire un certo garantismo a senso unico, fino al terzo grado di giudizio, che, visti i tempi della giustizia italiani, coincide praticamente con il giudizio universale…
Da “mani pulite” a “mani sporche”: la tragedia italiana è tutta qui.
Vignetta di Giorgio Franzaroli.
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